venerdì 25 dicembre 2020

Un uomo integro e il "sindacato del noi" (P. Ragazzini, G. Cremonesi, G. Pagani)

PIPPO MORELLI : UN UOMO INTEGRO                                                                                

Piero  Ragazzini - Giuseppe Cremonesi – Giuseppe Pagani 

(Intervento alla presentazione del libro: Sapere, Libertà, Mondo. La strada di Pippo Morelli (di Francesco Lauria, Edizioni Lavoro, 2020).

Il vocabolario ci spiega che “integro” significa “pieno, intero, completo”. 

E aggiunge estensivamente in senso morale, che l’aggettivo si riferisce a una persona di “ineccepibile onestà, di probità assoluta”. 

Ecco in questo senso Pippo Morelli era un uomo integro, probo, intero, completo. Forse non un leader, se prendiamo a riferimento la provocazione di Feltrin perché aveva sì una resistenza fisica, uno stomaco di ferro, la capacità di tenere insieme sindacalisti prime donne, curiosità, ma gli mancava la battuta ad effetto del comiziante. 

Certo può essere che la suggestiva battuta forse di Bruno Manghi sul comizio in Piazza Duomo a Milano che fece propendere per la scelta di Bentivogli alla guida della Fim, non sia mai stata pronunciata ma probabilmente contiene qualche spicchio di verità. E probabilmente pure Pippo l’avrebbe condivisa. 

Di sicuro resta che egli è stato un uomo di valore e di valori, punto di riferimento straordinario per tutta la Cisl. Del resto lui era un uomo che non si candidava. Si sentiva al servizio dei lavoratori e della Cisl e non chiedeva nulla per sé. 

Era, come ricorda ancora Feltrin, “granitico nelle convinzioni ma di una mitezza sconcertante”. Una mitezza che si manifestava in una capacità di ascolto non comune. Una mitezza da non scambiare con docilità. 

Anzi Pippo era e voleva essere un uomo scomodo. 

Non si accontentava mai, non era accomodante. Pretendeva da se stesso per primo sempre un di più, di impegno, di lavoro, di studio, di passione.

 Un uomo scomodo, che nonostante quelle certezze granitiche e quegli innamoramenti intangibili (il Brasile, Lula, Belo Horizonte e la scuola), coltivava la cultura del dubbio, eternamente scevro da ogni manicheismo. 

Un uomo mai banale, che dava soggezione quando parlava ma che ti metteva a tuo agio quando ti ascoltava perché non ti stava solo a sentire: voleva capire, interloquire e persino farsi convincere. 

Fra le bizzarrie di una memoria ormai disordinata, ci si affacciano alcune istantanee impresse come sigilli. La prima lo raffigura in una discussione animata in cui chiedeva a Pierre Carniti di rifiutare l’adesione alla Cisl di Beniamino Andreatta perché era un economista troppo liberista. Naturalmente soccombette di fronte al sorriso largo interrotto solo dall’immancabile sigaro del leader. 

La seconda istantanea lo ricorda intento, lui segretario generale della Cisl dell’Emilia Romagna, come uno studente timoroso ad ascoltare i racconti del collega Augusto Giorgioni straordinario affabulatore. 

La terza immagine che viene alla mente è una sua replica ad una delegata del Comune di Bologna che lo aveva interrotto sull’uso del termine “compagni” con cui aveva iniziato l’intervento. Pippo con una passione sobria e rispettosa spiegò che il termine veniva dal latino “cum-panis” e che dunque lo spezzare il pane insieme non poteva essere offensivo per nessuno. 

Istantanee certo, che non possono e non vogliono riassumere la straordinaria personalità di Pippo, ma che ci dicono di un uomo umile ma mai accomodante. Un uomo che non si adagiava, che non si accontentava, eternamente in ricerca. Innamorato di un lavoro che per lui era missione di vita. Un uomo capace di dare senso profondo ad ogni percorso, anche il più impervio. 

Capace di una passione e una dedizione totale verso l’altro e soprattutto verso gli ultimi. Vedeva in anticipo i problemi. Era preoccupato che il Sindacato e la sua Cisl si sedesse su qualche alloro. E dunque un uomo contro corrente non per mania di originalità ma per sete di ricerca. Secondo Kant sono immorali tutte quelle azioni che soddisfano l’amore di sé. “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. 

Ecco, in questo Pippo poteva ritenersi un seguace del filosofo tedesco. E questa sete di moralità non gli rese la vita facile. In qualche archivio sindacale ci sarà ancora una pubblicazione, da lui fortemente voluta, su una ricerca a proposito dell’attività sindacale dove emergevano i rischi di una possibile burocratizzazione dei sindacalisti. Non si fece amici allora. Eppure non capiva quelle critiche aspre da chi si sentiva messo in discussione. 

Per lui era normale ripensarsi continuamente, nutrire la cultura del dubbio. L’accordo di San Valentino del febbraio 1984 lo mise in crisi non per la scelta della Cisl e dell’amico fraterno Pierre Carniti ma perché sentiva come una ferita fisica la rottura con i “compagni” della Cgil. 

Non era un fatto ideologico, più semplicemente percepiva la profondità di una lacerazione che avrebbe secondo lui danneggiato il mondo del lavoro e verticalmente diviso quei lavoratori che per lui erano l’alfa e l’omega del suo agire. Alla fine condivise, si battè per la vittoria nel referendum dell’anno successivo, ma qualcosa si ruppe e si velò nel rapporto fraterno con Carniti. 

Pippo era un uomo scomodo, a volte persino ruvido coi giovani che cercava incessantemente, ma a cui sapeva trasmettere la passione e il fascino dell’impegno sindacale. Un combattente mai pago dell’esistente. Solo un destino cieco e spietato poteva arrestare quel docile spirito guerriero che gli ruggiva dentro. 

Una malattia che, come accenna Feltrin, lo ha costretto fra i dubbi che sempre coltivava, a scendere dal treno in corsa forse per sfuggire a stagioni di “uomini senza qualità”, per esplorare mondi totalmente sconosciuti i inconoscibili. E il pensiero corre all’ultimo incontro. A quell’invito a giocare con quelle carte che maneggiava con la maestria del prestigiatore. 

Non so se ci aveva riconosciuto. Gli occhi brillavano di una luce vivace. Lo sguardo sembrava scavarci dentro senza fermarsi per andare oltre. Respirava la tranquillità di una famiglia solida nelle carezze affettuose di una moglie, straordinaria custode dell’uomo amato. Quando lo salutammo cogliemmo l’accenno di un sorriso. 

Non pareva di cogliere in lui ansia e il cruccio di quei dubbi covati e coltivati. Era come rasserenato e quel sorriso un po' sornione che ci accompagnerà ancora per molto tempo, sembrava dirci: “io ho combattuto la buona battaglia, ora tocca voi”.



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