Di Francesco Lauria – Centro Studi Cisl
Firenze[2]
Lunedì 20 giugno è stata una giornata stupenda, attesa. Non retorica.
Oltre 250 persone nell'Aula Magna dell'Università di Reggio Emilia, la sua città, ad ascoltare la "strada di Pippo Morelli", interprete del futuro del lavoro. con i contributi di Rosy Papaleo, Filippo Pieri, Daniela Fumarola, Gian Primo Cella, PierPaolo Baretta, Romano Prodi, Chiara Morelli, Ferdinando Uliano, coordinati magistralmente da Ester Crea. Questa è la traccia, ampliata, del mio intervento.
Ho
riflettuto a lungo su come iniziare il mio intervento in questo emozionante
incontro sulla strada di Pippo Morelli.
La
memoria è tornata a Bologna, presso la sede della Cisl Emilia Romagna, in un
lunedì caldo (quasi) come questo: il 22 luglio 2013.
A un
mese dalla morte, in una sala gremita, si svolsero la Messa e il ricordo di
Pippo Morelli, celebrati e coordinati dall’indimenticabile cuore e voce di Beppe
Stoppiglia.
Il sacerdote
e fondatore di Macondo raccontò, in quella occasione, della sua prima
conversazione a Bologna con Pippo, nel 1977.
Tratteggiava
così il suo amico:
“Pippo è stato un sindacalista sempre con
la schiena dritta, un uomo forte e resistente, talmente trasparente e vero da
diventare scomodo come tutti i profeti. Si, perché Pippo è stato ed era un
profeta, anche nel sindacato, per la sua genialità e la sua capacità di leggere
i segni dei tempi, con l’occhio innocente di un bambino scanzonato.
Un uomo dipinto di cielo che si è
macchiato di terra per farsi racconto di Dio in mezzo ai poveri, agli ultimi, i
senza nome e i senza voce”.
Continuava…
“Per alcuni il suo atteggiamento era
imbarazzante, perché considerato provocatorio, ma la sua umiltà e la sua
immediatezza lo rendevano una persona disarmata. Essendo un uomo libero,
attirava a sé i semplici e i puri di cuore, era un poeta della pedagogia
sociale.”
Quel
giorno fu, insieme, doloroso e illuminante. Pensavo di essere stato l’unico a
salire a Bologna da Pistoia. Non era così.
C’era
anche Antonio Piras, sindacalista sardo trapiantato in Toscana, dirigente della
Femca Cisl, che con Morelli aveva percorso un significativo tratto di strada.
Antonio
si presentò insieme al suo nipotino che, valicando con lui l’Appennino, lo
aveva accompagnato nel viaggio. Con sguardo profondo, che non ho mai
dimenticato, tenendolo per mano, spiegò a tutti, con parole semplici e
scandite, che era per il futuro di quel bambino che, nonostante i venti anni
del suo obbligato silenzio, non si poteva dimenticare Pippo Morelli: interprete
del futuro del lavoro.
Lavoravo
da circa un anno al libro su Pippo e non ero ancora pienamente consapevole del
“giacimento minerario” rappresentato da questo protagonista “quasi inavvertito”
del Novecento sindacale e sociale italiano.
Conoscevo
la storia di Pippo grazie a tre persone che mi avevano aiutato nella ricerca
sulle 150 ore per il diritto allo studio: Bruno Manghi, Paola Paola Piva e
Domenico Paparella.
Era
stato proprio Paparella, altro fimmino, intellettuale-sindacalista, prematuramente
scomparso, a rispondere, nel 2005, per primo alla mia domanda: “Ma chi è questo Pippo Morelli?”
Cominciavo a studiare l'Flm, gli anni
dei metalmeccanici (e non solo) che davano l'assalto al cielo, ma soprattutto
conquistavano e organizzavano diritti, non solo salario.
Studiavo l'Flm, la sinistra sindacale,
grazie al per me illuminante lavoro di Fabrizio Loreto “L’anima bella del sindacato”, ricostruivo le 150 ore e mi ero imbattevo
continuamente in questa figura in cui mi immedesimavo più che in ogni altra.
Persino più che in Vittorio Foa, che mi aveva affascinato enormemente fin dagli anni dell'università.
In Morelli, intuivo qualcosa di
speciale, unico, un intreccio di radicalità e di visione, di intraprendenza
organizzativa e di capacità di anticipare il futuro, apertura educativa e
testimonianza esigente. Di fede, giustizia e libertà, che mi stupivano, mi
accarezzavano, mi spronavano ogni volta.
Certo, c'era anche l'inquietudine ostinata in cui tanto mi riconoscevo e riconosco. La capacità, come ha spiegato Carmine Marmo, di non accontentarsi mai, di accendere fuochi senza sosta, senza volerli per forza controllare. Non serve, infatti, dominare i fuochi accesi, i “tizzoni ardenti”.
Solo anni dopo avrei iniziato, nel 2012, alla conclusione della mia ricerca sulle 150 ore per il diritto allo studio, a percorrere, "a palmo a palmo" la sua strada. Avrei incontrato Susanna, Chiara, Francesca, Giorgio, Macondo e Beppe Stoppiglia, il mondo di Pippo anche attraverso gli occhi amichevoli, ma mai accomodanti, di Pierre Carniti.
C’è qualcosa di ancor più grande che ci
rivela la sua storia.
Mentre cercavo l’eresia ho incontrato in lui, proprio come in Pierre Carniti, la formula segreta e incarnata della “splendida anomalia” della Cisl.
Una formula, ci tengo a precisare, mai
definita e definitiva.
Ricostruire lo spirito fondativo della Cisl e i progetti e gli incontri che ne hanno permesso l’evoluzione e il divenire, non è opera semplice, poiché molte e ricche furono le influenze e le positive contaminazioni.
Allo stesso tempo, però, non è difficile
concordare con quanto ha scritto Vincenzo Saba:
“i protagonisti di quella scelta avevano infatti come patrimonio e come loro risorsa fondamentale, un’idea molto semplice, ma anche molto importante per la vita dei popoli e, quindi, per la vita del sindacato: che il sindacato doveva essere libero”.[3]
Ripercorrere la vita di Pippo ci permette di comprendere a pieno al progettualità della frase di Giulio Pastore al primo congresso della Cisl: il celebre: “dobbiamo creare tutto dal nuovo”.
Non solo una frase ad effetto a tema organizzativo: ma la scommessa della creazione di una nuova e inedita cultura e prassi sindacale a livello mondiale.
Il primo congresso della Cisl e il primo
corso lungo della confederazione a Firenze (non ancora in Via della Piazzola)
partono quasi appaiati, debitori uno all’altro.
Non è un caso che proprio Pippo, solo un anno dopo Carniti, Crea, Colombo, Marini, Sartori, quasi contemporaneamente a Maresco Ballini e Franco Bentivogli, fresco della discussione della tesi di laurea con Mario Romani, acceda ad un esperimento unico e peculiare, per nulla casuale: il corso esperti della contrattazione.
“Giovani menti”, avrebbe detto Giuseppe
Dossetti, i neo-laureati più promettenti del paese, che, con un approccio
multidisciplinare, vengono a formarsi, chiamati da Giulio Pastore, sulle
colline di Fiesole per “masticare” il sindacato e apprendere e poi insegnare
come sostenere la diffusione concreta della contrattazione aziendale in Italia.
Non intellettuali del sindacato, quindi, ma realizzatori di una ricerca-azione che, nel quotidiano, si adopereranno nella costruzione paziente delle condizioni certo non semplici per la realizzazione della contrattazione articolata in tutto il Paese.
Se studiamo, solo per avere due esempi, le biografie di Carniti e di Morelli alla fine degli anni Cinquanta, ritroviamo proprio questo impegno cruciale nella nascita e nel progressivo consolidamento, non solo operativo della Cisl: la centralità in dialogo con i territori del Centro Studi di Firenze, l'effervescenza e la costruzione di una nuova cultura sindacale che si misura con la realtà e con la scommessa verso la formazione e l’accompagnamento di una nuova classe dirigente diffusa e consapevole.
Una cultura sindacale che, come spiega
spesso Gian Primo Cella, si arricchisce ulteriormente nel contesto milanese in
cui anche Pippo inizierà ad operare.
Con la guida, certo, del “faro” Carniti,
ma attraverso una squadra non solo di dirigenti sindacali, ma anche di
importantissimi membri delle commissioni interne, delegati di fabbrica, che
costruiranno sul campo il “sindacato nuovo” nel contesto industriale milanese.
In quegli anni si darà anche, vita ad un esperimento, a mio parere ineguagliato, di effervescenza culturale e di elaborazione: la rivista “Dibattito Sindacale”.
Come ha spiegato molto bene Morelli
stesso c’è una data che è uno spartiacque.
Una data molto precedente al biennio
impetuoso del 1968-1969.
Se gli anni cinquanta sono gli anni
della “semina”, il primo raccolto, infatti, ha una data precisa: il 1962.
L’anno dell’affermazione definitiva
della contrattazione aziendale (con il protocollo Intersind-Asap), ma anche
della nascita della nuova Fim.
Una dirigenza nuova viene eletta e avvia
una stagione di “risveglio sindacale” e di radicali trasformazioni delle
relazioni contrattuali scriveva Pippo nella sua “Memoria sul 1962”.
Non posso qui, in terra emiliana, non
ricordare un’altra grande figura recentemente scomparsa: Giovan Battista
Cavazzuti, il primo degli innovatori ad entrare nella segreteria nazionale
della Fim-Cisl.
Sono questi gli anni della prima temeraria unità d’azione con Fiom e Uilm, sperimentata già alla fine degli anni Cinquanta a Brescia dal gruppo raccolto intorno a Franco Castrezzati.
Sono anche gli anni della ricerca
positiva dell’autonomia di cui l’incompatibilità tra incarichi sindacali e
politici, diviene conseguenza naturale e procede di pari passo con il percorso
di unità sindacale dal basso.
Quello dell’unità sindacale, come è
noto, sarà uno dei riferimenti principali dell’impegno di Pippo Morelli.
Un “grande balzo interrotto”, per dirla
con Bruno Manghi con i suoi sogni e i suoi deragliamenti, con la sua passione,
radicale e diffusa e i tanti nodi irrisolti, interni ed esterni al mondo del
lavoro.
Lo dico oggi proprio a pochi giorni di distanza dal cinquantennale della fondazione della Federazione Cgil Cisl Uil del luglio del 1972.
La strada di Pippo Morelli ci accompagna
negli anni caldi del '68 e del '69, quelli dei "capelloni alla Cisl di
Milano" e del "potere contro potere", fino ai contratti
nazionali del 1973 e del 1976 e alla lotta democratica contro il terrorismo e
le stragi di stato e per l’affermazione dei diritti civili, sociali e
democratici.
Anni in cui ci si impegnava nella
ridefinizione del potere nei luoghi di lavoro anche attraverso un sapere che
“non ha padrone”. Come ci spiega il “vecchio zio” Bruno Manghi.
Non solo 150 ore, ma anche salute,
sicurezza, medicina del lavoro e diritti di informazione e consultazione.
Ma anche, almeno per Pippo, non solo
sindacato: pensiamo all’esperienza di “Cristiani per il socialismo” e all’impegno
instancabile, personale, da profondo credente, nella campagna del referendum
contro l’abolizione del divorzio. Valori,
come quello delle famiglia,” che si vivono e si testimoniano da “cattolici
adulti, certo non si impongono, men che meno legislativamente.
Una battaglia quella dei Cattolici per
il No al divorzio condotta insieme a Pietro Scoppola, ma, anche, ancora una
volta, a Luigi Macario e a Pierre Carniti.
Pippo, credente, scout, proveniente da
una famiglia importante del cattolicesimo democratico e sociale reggiano fu,
come Carniti, un fulgido interprete della “laicità” della Cisl.
Pippo stava terminando la sua collaborazione con il Centro Studi guidato da Silvio Costantini quando nel 1962-1963 uscì un’interessante dispensa a cura della scuola di formazione della Cisl[4].
Vi era scritto:
“Il sindacato democratico non si propone di elaborare un suo compiuto
sistema filosofico e tanto meno religioso (…) Il movimento sindacale, di fronte
all’incontro di persone di ideologia diversa, non può adagiarsi su schemi
precostituiti ed è sollecitato a porre sempre più attenzione ai valori
fondamentali che determinano la solidarietà tra i lavoratori (…) nessun
lavoratore, aderendo al movimento sindacale, deve sentire mortificata la sua
concezione di vita”.
Emerge una Cisl pensata con le porte
aperte, orgogliosa del proprio pluralismo interno.
Come ha osservato Pierluigi Mele con
parole che sarebbero state certamente condivise da Pippo: “In questo senso il sindacalista della Cisl ripone nella sua autonoma
capacità di giudizio – ossia nella sua perizia laica sulle cose del mondo, e
nella fedeltà ai valori della solidarietà tipica del mondo del lavoro – il
senso” del suo agire[5].
Sono temi importantissimi, ma faremmo un
torto a Pippo Morelli se ci fermassimo qui.
Con lui, in dieci anni di lavoro e di
ricostruzione “mineraria”, ho attraversato anche gli anni ottanta del riflusso
e di un'Occidente e di un capitalismo che, per usare le parole di Beppe
Stoppiglia, "scivolava sempre di più".
La direzione la conosciamo: è il maledetto trionfo di quello che Papa Francesco definisce nei suoi scritti: "economia dello scarto".
Mi spingo oltre: gli anni ottanta e i
primi anni novanta, fino a quando l'ictus lo colpì duramente, sono forse gli
anni più significativi di Pippo Morelli, almeno come elaborazione teorica.
Anni spesso di sconfitte, anche forse di
emarginazione crescente, ma di grande visione. Dalle riflessioni sul sindacato
nel territorio, al dibattito non solo sul "come produrre, ma sul cosa
produrre", all'attenzione al lavoro frammentato, alla formazione
professionale, all’informatizzazione, alle problematiche degli anziani, della
società multiculturale, alle nuove frontiere dell'educazione degli adulti,
anche a partire dalla marginalità.
Fino alla grande questione della conversione ecologica globale ed integrale della società, dell'economia e del sindacato. Del disarmo.
Va ricordato però che, in soli tre anni,
dal 1982 al 1985, Pippo, da segretario generale, costruisce come guida paziente
e impetuosa il “sindacato nuovo” anche in Emilia Romagna.
Un nome per tutti: l’Isfel e quell’idea di un sindacato “bianco” che, proprio con la forza di un’elaborazione concreta che, “non ha padrone”, riesce a contare davvero nell’Emilia rossa. Con la forza delle idee, non solo dei numeri.
Sta qui il senso di ricordare Pippo
Morelli oggi, sta qui il senso di queste parole, di queste tre tracce di
cammino: “Sapere, Libertà, Mondo”.
A queste parole ne affiancherei nel
confronto con l’oggi altre: “Sogno,
cura, servizio”.
Sta proprio qui il lascito, l’invio,
come ha scritto Ivo Lizzola nella postfazione al libro.
In questi tempi “furiosi” di esplosione di disuguaglianze e di guerra, di fragilità strutturale e molteplice, dopo la pandemia, tornare a Pippo Morelli, significa chiederci: "Da dove veniamo"? Ma anche: "chi siamo e dove stiamo andando?."
Se è vero, come affermava Vittorio Foa,
che il passato non ci dà risposte, ma ci aiuta a formulare, meglio, decisive
domande, ripercorrere la strada di Morelli, significa immergersi nel nostro
presente.
Nelle urgenze di un sindacato che deve
essere sempre più prossimo a chi non ha voce, non ha dignità, non ha parole. A
partire dai giovani. Un sindacato, avrebbe detto Pippo Morelli, moltiplicatore
di trasformazione, non di conservazione.
Non solo luogo educativo, ma comunità
educante.
Palestra quotidiana di emancipazione,
relazione, libertà. Pane e rose. Poesia e prosa. Interessi e Ideali.
“Sogno, cura e servizio”, appunto.
Siamo sommersi di parole. Proprio per
questo abbiamo bisogno di metodo, visione e speranza e di saperle tenere
insieme con autenticità.
Parole, ma soprattutto azioni
conseguenti, progettualità per ritrovare quello spazio di impegno condiviso e
collettivo, di cooperazione di comunità inclusiva e di rappresentanza
democratica che significa spostare, senza facili moralismi, il mondo intorno a
noi, anche solo di un millimetro, verso pace, giustizia, fratellanza, amore, rispetto,
dignità.
La nostra bussola, o meglio, “il nostro astrolabio”, per dirla con Don Lorenzo Milani e la scuola di Barbiana.
Concludendo.
Se
vogliamo che la “strada di Pippo” divenga oggi, almeno in parte, patrimonio,
traccia condivisi, dobbiamo ricordarci, come ci ammonisce Jhonny Dotti, che
essere sindacalisti ed in particolare essere sindacalisti della Cisl, non è
solo “funzione”, ma ricerca del senso.
Pippo ci
illumina proprio nel mantenere, nel non disperdere il patrimonio del senso.
Senso di
responsabilità individuale (il “ciascuno è responsabile di tutto di Don Lorenzo
Milani), ma anche sforzo progettuale e collettivo.
Se
l’uomo perde il senso, ci ha detto Jhonny al congresso nazionale della Fim Cisl
a Torino, citando Fabrizio De Andrè è: “come
un cinghiale che fa le equazioni”.
Facciamo
i conti, da oltre trent’anni, con la fine dell’ideologia, ma anche con la crisi
nichilista delle parole.
Pippo
che era attento lettore di Maritain, ma soprattutto di Emanuel Mounier, sapeva
ben distinguere la parola persona dalla parola individuo.
Le
parole non sono i termini binari dell’informatica: le parole, un po’ come il
lavoro, sono misteri di relazioni.
Come
spiegava benissimo Beppe Stoppiglia raccontando di Pippo nelle favelas
brasiliane, il sentimento profondo di solidarietà non ha nulla a che fare con
la ragione. Se l’altro soffre, soffri anche tu.
Ma
questo è il, necessario, punto di partenza. Se il sindacato è figlio della
mediazione tra giustizia e libertà, se sa stare in mezzo, facendo anche dei
compromessi, esso, ci ammoniva con mitezza Pippo, deve sapere guardare avanti,
non rinunciare mai all’orizzonte di senso, significato della Vita.
Un punto
decisivo sta nell’intreccio tra servizi individuali o meglio “personali” e
diritti collettivi, declinati informa non solo collettiva, ma “collettivizzante”,
in altre parole generatrice di comunità.
Ci sono
tantissime esperienze, a cavallo tra territorio e impresa, che necessitano di
una strategia complessiva di inclusione e moltiplicazione. Un po’ come a metà
anni cinquanta con la contrattazione aziendale.
Tornando
alle parole.
Pippo
usava spesso la parola “compagni”.
Spiegava
agli scettici e conservatori, anche nella Cisl, che la radice era “cum panis” coloro che spezzano il pane
insieme.
Allo
stesso tempo se oggi, specialmente in tempo ed economia di guerra, ci insegnano
che la “competizione” è semplicemente “uccidere l’altro”, (e non certo spezzare
il pane insieme!) dobbiamo tornare alla radice vera delle parole: “cum petere”, significa correre e
chiedere, chiederci, insieme.
Non solo
“coscientizzazione”, per citare Paolo Freire, ma sempre di più un sindacato
dell’ascolto come ci ha detto benissimo all’ultimo congresso della Cisl il
segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia.
La
competizione positiva tiene dentro di sé il senso della relazione e della
dignità. Non esclude in alcun modo il conflitto, né il “diritto e dovere di
dissentire”, ripudia, invece, la guerra e la violenza.
Pippo Morelli
può aiutarci in questo nuovo inizio, in cui insieme alle “competenze”,
occorrono intelligenza emotiva e, perché no, laicamente spirituale.
Un’intelligenza
emotiva e spirituale che sappia rispettare la parola e le parole, ma che non
smetta mai di farsi provocare dalla realtà e di provocarla a sua volta.
Tornare
a Pippo e a Papa Francesco ci mette in cammino verso un sindacato che non può
che essere, insieme, “profezia ed innovazione”, senso della relazione e della
dignità.
Cosa ci
dice in questo 2022, cento anni esatti dalla presa del potere del fascismo,
Pippo Morelli?
Ci dice
che le persone, i lavoratori, gli iscritti, non sono una somma di tessere.
Altrimenti, come ha spiegato sempre Dotti al congresso della Fim, un’App fra
non molto agevolmente ci sostituirà.
Gli
altri sono risposta a una convocazione, sono una passione, una visione, una
compagnia. Non possiamo farne a meno.
La pandemia ci ha insegnato qualcosa di molto importante e che non dobbiamo dimenticare troppo facilmente.
Come ho
compreso leggendo Morelli, ma anche dialogando direttamente con Carniti:
dobbiamo condividere non la nostra potenza, ma la nostra ferita, la nostra
precarietà, la nostra fragilità. Saper ripartire, anche, dalle nostre
sconfitte, dal non sapere dare, sempre e comunque, tutte le risposte.
Pippo
Morelli rifletteva nel 1991, insieme ad Alexander Langer, su una nuova unità
sindacale basata sulla cultura del limite e della sostenibilità.
Proprio
questa cultura ci spiega che il sindacalista e il sindacato, per curare la
società dello scarto, non possono che mettere a disposizione la propria ferita,
il proprio dolore, la propria insufficienza.
E’
questa la strada stretta per costruire principi viventi di solidarietà. Per attraversare
l’incontro cosciente e incosciente di fragilità, la cultura della cura e dei
frammenti. Dalla pluralità condivisa degli sguardi.
Dobbiamo
essere capaci di guardare oltre, capire, anche da un punto di vista
organizzativo e sociale, che non possiamo “fare da soli”.
Pippo ci racconta oggi quindi anche che
il “sindacato da solo non basta” se vogliamo partire e ri-partire da quelle
periferie, del lavoro ed esistenziali, che si trovano nelle nostre città e
metropoli, come nelle aree interne, troppo spesso dimenticate.
Ma Pippo, Beppe, Pierre ci raccontano anche che il sindacato nella rappresentanza e nella rappresentazione del lavoro, non può che essere anello importantissimo, ma non unico, della carovana della dignità che si mette in cammino ogni giorno in tanti luoghi spezzettati di un pianeta interconnesso.
Il sindacato “trionfante” a cavallo
degli anni sessanta e settanta ha fatto anche degli errori.
Ma capì una cosa che, mentre si
“assaltava il cielo”, non era semplice.
Comprese, infatti, che occorrevano investimenti
contrattuali sull’orizzonte di senso e, allo stesso tempo, che erano necessarie
alleanze nella società per la costruzione di una democrazia compiuta e per
rendere effettive ed estese azioni e conquiste.
Sarebbe bello un giorno, solo per fare
un esempio, raccontare l’impegno dell’FLM per la sindacalizzazione non corporativa
delle forze di polizia e, un tentativo, ancor più sconosciuto, ve lo dico come
curiosità, di “confederalizzare” la nascente Associazione dei calciatori.
In questo campo largo ricordiamo non solo le 150 ore, ma anche il, già citato, e troppo dimenticato grande movimento sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e nel territorio.
Quel sindacato “potente” aveva intuito,
anche se non sempre fu conseguente (pensiamo all’insuccesso dei Consigli di
Zona), che la logica dell’E-E doveva prevalere su quella dell’O-O.
E’ il lascito, il sogno e la visione che
ci vengono consegnati oggi. Nel solco di Pippo Morelli.
Sapere, libertà, mondo. Ma anche, lo ripeto un’ultima volta, ascolto, cura, sogno, visione.
Perché, per essere interpreti del futuro
del lavoro, possiamo essere: “dipinti di
cielo e macchiati di terra.”
[2]
Intervento al seminario: Pippo Morelli, interprete del futuro del lavoro,
Reggio Emilia, 20 giugno 2022.
[3] V. Saba,
Un passo che fece storia, in La nascita
della Cisl 1948-1951, Edizioni Lavoro, Roma, 1990.
[4] La Cisl e la sua autonoma collocazione nella
società italiana, in “Il Sindacato nella società democratica”, dispensa del
Centro Studi di Firenze, 1962-1963.
[5] P. Mele,
Parola chiave: laico in F. Vera
Nocentini (a cura di), Sindacalismo e
laicità. Il paradosso della Cisl, Franco Angeli, Milano, 2000.