domenica 1 agosto 2021

Un ricordo di Pippo Morelli, dirigente… e militante (Pier Paolo Baretta - Riformismo & Solidarietà)

https://riformismoesolidarieta.it/la-rivista/senso-civico/un-ricordo-di-pippo-morelli-dirigente-e-militante/ 

Il 24 giugno scorso la cattedra di Sociologia della complessità dell’Università di Perugia ha organizzato il seminario: “Ri-pensare la formazione. Sulla strada di Pippo Morelli”, per ricordare la figura del grande sindacalista, in occasione della presentazione del libro di Francesco Lauria (“Sapere, Libertà, Mondo. La strada di Pippo Morelli”, EdizioniLavoro), anche allo scopo di attualizzare gli aspetti più caratteristici del contributo che Morelli ha dato alla storia sindacale.

In tale occasione è stato chiesto a diversi relatori di intervenire. Tra questi anche Pier Paolo Baretta, che con Morelli aveva lavorato. Di seguito la rielaborazione dell’intervento di Baretta al Seminario di Perugia, integrata con altre riflessioni e analisi.

Ho lavorato direttamente con Pippo Morelli, agli inizi degli anni ’70.  Ero giovanissimo quando fui chiamato da Pierre Carniti (che allora era il Segretario Nazionale della Fim) a dirigere il settore formazione della FLM, di cui Pippo era il responsabile.

C’era una temerarietà nel gruppo dirigente nazionale della Fim di allora nel convogliare, presso la sede unitaria di corso Trieste da poco inaugurata, una squadra di giovani (io avevo 24 anni, più o meno come quasi tutti gli altri operatori!) e affidare loro incarichi di responsabilità nazionale. Ma c’era anche coraggio e visione: il rinnovamento della classe dirigente era sinceramente e concretamente perseguito e forgiato sul campo. Pippo era un convinto sostenitore di questa linea di apertura alle giovani generazioni e fu un talent scout formidabile.

Memorabili le discussioni sui quadri e la selezione degli operatori che lui sosteneva con Alberto Gavioli, l’allora segretario organizzativo, portatore di una visione più consolidata; non possiamo dire tradizionale, perché anche Alberto era un innovatore (come tutta la segreteria di allora), ma, certamente, nella scelta dei dirigenti aveva una concezione… meno sperimentale.

In quegli anni si avvertiva a tutti i livelli il fermento sociale. Morelli lo coglieva più di altri e trasferiva quello spirito nella attività sindacale. Voglio qui sottolineare tre aspetti di Morelli che ne caratterizzano bene la figura e, al tempo stesso, mi sembrano tutt’ora utili per una riflessione sull’oggi.

La prima è Morelli formatore. O meglio dire: educatore. Questo è, dal mio punto di vista, l’aspetto più importante.                                                                          

Trovo positivamente significativo che oggi si voglia valorizzare la formazione; a partire dal riconoscimento che, in quella complessa stagione di sviluppo della società italiana, la formazione occupava uno spazio importante nelle  grandi forze del sindacato, ma anche dei partiti. La Cisl, in particolare, dedicava molte energie e risorse alla formazione dei quadri e dei dirigenti. Su tutte spicca la esperienza del centro studi di Firenze che coi suoi “corsi lunghi” ha formato la gran parte della dirigenza cislina.

Nella FLM, con Pippo e gli altri colleghi di Fiom e Uilm, nei tre anni di lavoro comune, realizzammo un programma molto impegnativo. Una serie di corsi di un mese residenziali, per i futuri segretari territoriali (veri e propri master ante litteram) che realizzammo itineranti a San Miniato, in Toscana, e a Brescia, utilizzando in due casi anche le strutture di Ariccia della Cgil e di Lavinio della Uil. Realizzammo, inoltre, la formazione estiva con corsi settimanali che tenemmo per due stagioni a Misurina e una anche ad Arcavacata, l’Università della Calabria. Coinvolgemmo centinaia di militanti, in moduli settimanali, in un clima di studio e di convivialità  straordinari.

Non mancarono le discussioni su cosa doveva essere la formazione. Si confrontavano due concezioni: da un lato l’idea, sostenuta da una parte del gruppo dirigente dalla Cgil, che la formazione sindacale dovesse trasmettere la… linea; dall’altro lato che il compito della formazione dovesse essere la ricerca di interpretare quanto di dinamico e innovativo si muoveva nella società e attraverso questo percorso mettere anche sotto verifica la stessa linea.

Non ho bisogno di dire che con Pippo sostenevamo questa seconda impostazione, condivisa sostanzialmente anche dagli “amici e compagni” (come si diceva allora) di Fiom e Uilm. (Il mio ricordo va, in particolare ad Angelo Airoldi, responsabile della formazione per la Fiom troppo presto scomparso, col quale si creò un sodalizio che sfociò in una vera amicizia. Per la Uil ci furono prima Paola Negri e poi Geo Brenna).  

La questione fu oggetto di una vivace discussione ai vertici della FLM e con le Confederazioni; ma, ad onor del vero, le segreterie generali della FLM (la mitica TBC: Trentin, Carniti, Benvenuto) appoggiarono senza riserve la esperienza dei corsi estivi. In particolare Bruno Trentin, complice il fatto che passava le vacanze estive a San andido, tra una scalata e l’altra delle vette dolomitiche, frequentò spesso i corsi di Misurina, legittimandoli proprio di fronte alle contestazioni che arrivavano soprattutto dalla sua Confederazione. Pippo mediava finché poteva, smussava le tensioni con diplomazia, ma teneva la barra dritta sulla nostra impostazione.

Oggi tutto ciò appare un ricordo lontano e si sente la carenza di una intensa attività di formazione. Considero Morelli un formatore per eccellenza. Per tre caratteristiche del suo modo di agire, che a me pare restino un punto fondamentale nell’approccio del formatore.

La prima potremo definirla un’autonomia sperimentale: Pippo ti buttava in acqua e ti insegnava a nuotare sul campo. Ti dava, cioè, da subito, una vera responsabilità di scelte e comportamenti, ma lui  c’era, era presente, non eri abbandonato nei gorghi dell’inesperienza.

Nella sua innata vocazione ad essere formatore Morelli era, innanzitutto, il formatore dei suoi collaboratori. Ricordo bene questo insegnamento alla responsabilità: eri tu a dover decidere, ma sapevi che era possibile, anzi necessario, verificare costantemente queste scelte. Ovviamente venivi corretto se sbagliavi, ma contavi su un riferimento preciso a cui potevi ricorrere in ogni momento. In coerenza con questa visione il suo rapporto con noi giovani operatori era intenso, andava oltre il lavoro. Ricordo con emozione tutt’ora viva la convivialità, le giornate passate a casa sua, con la sua stupenda famiglia, dove venivamo accolti e… rifocillati.

La seconda caratteristica: con una terminologia desueta potremmo definirla il rapporto avanguardia-massa. Nel senso che il formatore Morelli ti incitava, e su questo era molto netto, ad essere sempre avanti nella riflessione, avanti nell’innovazione e avanti anche nel coraggio delle scelte; ma senza mai perdere di riferimento l’ultimo vagone della squadra, della compagnia, dell’associazione, del sindacato, di coloro che in qualche modo si rappresentava.

Questo è un insegnamento decisivo, perché il rischio di essere o troppo appiattiti sul consenso facile o totalmente disancorati da una dimensione collettiva, è uno dei problemi più complessi della gestione della politica e dell’associazionismo. È fondamentale, infatti, riuscire ad essere sempre in equilibrio tra la spinta in avanti, la capacità di vedere oltre; ma, contemporaneamente, mantenere un solido ancoraggio alla realtà che ci circonda.

Considero fondamentale, però, la terza considerazione su Morelli formatore, che potremo definire (anche qui con una espressione démodé) il rapporto stretto tra teoria e prassi. Ovvero:  a ogni idea deve corrispondere una applicazione; la teoria va sempre esplicitata con un esempio, va realizzato un calcolo costi-benefici. Non si tratta solo di metodo, ma di una scuola di vita.

Su questo punto Morelli è sempre stato esplicito e rigoroso: è fondamentale la teoria, sono fondamentali le idee, ma è decisivo che queste idee siano misurabili con la realtà concreta e con la possibilità della loro praticabilità. Questa è la forza del sindacato, la capacità di avere delle idee, delle opinioni anche innovative, ma di essere sempre capace poi di vederne la possibilità applicativa. 

Queste tre caratteristiche: l’educazione alla responsabilità, l’essere sempre avanti, ma mai disancorati dalla missione collettiva, e la corrispondenza tra le idee e la loro realizzabilità sono gli  insegnamenti indelebili che Morelli formatore ci ha lasciato.

C’è poi una seconda caratteristica della figura di Morelli che trovo molto interessante, ma che è meno conosciuta: è la dimensione politica. Nel libro di Lauria è riportata una affermazione che Morelli  utilizza: la “cultura della trasformazione”. È una frase molto intensa, due sole parole, ma davvero molto profonde. L’approccio alla politica è la capacità di costruire una cultura della trasformazione. Siamo sempre in trasformazione, che lo vogliamo o no. Quindi, assumere la cultura della trasformazione è qualcosa di più che agire per trasformare. Cambiare è un processo complesso, che implica grandi responsabilità. Bisogna prepararlo, condividerlo, sentirlo. Serve una… cultura che sostenga questo processo.

Il rischio peggiore che può accadere a chi fa politica è quello  ben descritto da una frase di Bruno Trentin (anch’essa riportata nel libro); il rischio “dell’immobilismo spontaneo” dei gruppi dirigenti, di una loro “inerzia difensiva”. La politica corre spesso questo rischio, lo corrono tutte le associazioni… è proprio delle organizzazioni collettive tendere all’autoconservazione, all’autotuela dei gruppi dirigenti. La cultura della trasformazione, per come la intendeva Morelli, è un buon antidoto.

C’ una terza caratteristica che voglio evidenziare: Morelli organizzatore. È un aspetto interessante che Lauria approfondisce nel libro, ma che è ancora inesplorato. Morelli era un grandissimo tessitore di fili; aveva la capacità di tenere il dialogo come punto di riferimento anche nei momenti in cui c’era tensione, c’erano differenti opinioni, c’era scontro. In tale ottica Pippo utilizzava con grande ‘simpatia’ noi giovani, io e gli altri colleghi ventenni chiamati a Roma, proprio per tessere questi fili nei punti più disparati dello schieramento politico, del mondo cattolico, dell’associazionismo. Ognuno aveva un compito, aveva una relazione da costruire, e tutti facevamo riferimento al tessitore.

A me e ad un amico collega toccava tener vivo il dialogo con la sinistra dello schieramento politico e del mondo cattolico. In particolare partecipavamo a degli incontri frequenti che si tenevano a casa di Lucio Magri, presenti Rossana Rossanda, Luciana Castellina, Gastone Sclavi ed altri. Un parterre di grande livello che noi frequentavamo ovviamente intimiditi. Il livello delle discussioni è facilmente intuibile visti i nomi citati. Allora, però, la Fim godeva di un prestigio indiscusso anche nei confronti di quella parte dello schieramento politico; il che conferiva anche a noi giovanissimi la possibilità di portare in quelle sedi il punto di vista del sindacato, ma, nello specifico, di un sindacato all’avanguardia.

Ricordo bene le discussioni sulla autonomia del sindacato da noi sostenuta con fierezza e quasi contrapposta alla esigenza del “blocco sociale” teorizzata dai presenti a quegli incontri. Sul fronte cattolico il riferimento per me fu il rapporto con Adista, una agenzia stampa di frontiera.

Non ci sfuggiva il fatto che, attraverso noi che eravamo sì dei dirigenti nazionali, ma non ricoprivamo incarichi elettivi e di rappresentanza congressuale, la Fim poteva raggiungere interlocutori coi quali era più difficile mantenere un dialogo formale, ufficiale. In questo modo, l’organizzazione tesseva reti ampie e disparate senza… compromettersi. Infatti il punto delicato di questa strategia era avere costanti relazioni col mondo politico senza derogare, come ho poco sopra accennato, al principio fondamentale della autonomia sindacale. La Fim era particolarmente gelosa della propria autonomia, fino al punto di rischiare una sorta di pansindacalismo. Il “metodo” Morelli consentiva di evitare questo rischio.

Per Pippo l’autonomia della FIM  non è mai stata in  discussione; ma non ha mai significato isolamento, estraneità, assenza di confronto e di dialogo.

Morelli formatore, politico e organizzatore, dunque. Caratteristiche umane e professionali, tenute insieme proprio dalla cultura della trasformazione e dalla capacità di tessere fili sottili, ma resistenti. Questo era Morelli.  

Vi è, infine, un ultima caratteristica della figura di Morelli che voglio evidenziare da ultima, perché a mio avviso è la chiave di volta dell’agire politico e resta un insegnamento che ha bisogno di essere riscoperto oggi. Morelli era, contemporaneamente, un dirigente, ovvero un capo, capace di decidere e di orientare, ma anche un militante, ovvero un “servitore”, nel senso più genuino del termine, della causa collettiva.

Non si tratta tanto di comportamenti (di certo non capitava abitualmente al segretario nazionale di distribuire volantini o partecipare ai picchetti), ma di un atteggiamento mentale. Un modo di interpretare lo status e la funzione del sindacalista o del politico. In tal senso va letto il suo indefesso attivismo e il … presenzialismo, da intendere non come una sorta di protagonismo soggettivo, bensì come la scelta di non tirarsi mai indietro rispetto a ciò che c’era da fare, fosse una strutturata ed impegnativa relazione ad a un importante convegno o intraprendere un faticoso viaggio per raggiungere uno sperduto angolo del paese per parlare ad un piccolo gruppo di persone che ti chiedevano di portare un contributo. Quello che prima ho definito il “metodo” Morelli è anche questo. Io, come molti altri che hanno avuto l’avventura di stare con lui, sono stato contagiato da questo modo di vivere la mia esperienza politica. E non me ne sono mai pentito.

Pier Paolo Baretta

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