lunedì 19 luglio 2021

Eleuterio e Pippo: il Vangelo e la "volgarità". Racconto di un'amicizia tra Fede e fabbriche...

Ci ha lasciato questa mattina presto Don Eleuterio Agostini. Aveva 97 anni. Nato a Castelnuovo Monti nel 1923, è stato assistente della Giac, dell’Azione cattolica e delle Acli di Reggio Emilia; fra il 1972 ed il 1975 ha vissuto l’esperienza di prete operaio. 

In un caldo luglio di quattro anni fa Don Agostini aveva raccontato, nella parrocchia che aveva guidato per molti anni alla periferia di Reggio Emilia, la sua amicizia con Pippo Morelli (di cui, nel 2013 aveva officiato i funerali).

 Una conversazione che racconta non solo della personalità del sindacalista reggiano, ma anche del suo amico sacerdote...

Intervista a don Eleuterio Agostini, a cura di Francesco Lauria, inserita nel libro: "Sapere, Libertà, Mondo. La strada di Pippo Morelli."

"Ho una tristezza infinita nell’anima. Quasi un presentimento che debba avvenire qualcosa di inatteso, di acerbo. Forse questa mia giornata terrena potrebbe non vedere l’alba di domani. Non mi spaventa la morte. Mi è amica, poiché da tempo l’ho sentita vicina, in ore diverse: sempre bella… Nell’istante prima del mio tramonto, mi prenderebbe una sola nostalgia: quella di aver poco donato. Oggi la mia confessione ultima sarebbe questa: l’odio non è mai stato ospite della mia casa. Ho creduto in Dio, perché la sua fede è stata la sola ed unica forza che mi ha sorretto."

dal diario di Giorgio Morelli, 9 agosto 1947, due giorni prima di morire

Iniziamo la nostra conversazione da Giorgio Morelli, il Solitario...

La famiglia Morelli a Reggio Emilia ha rappresentato una presenza e una testimonianza importante. Il padre di Pippo Morelli si interessava di agricoltura ed era molto stimato ed autorevole. La figura del fratello ha avuto un grande risalto, per la sua morte non immediatamente seguita all’attentato, ma da esso provocata.

Giorgio Morelli veniva chiamato, durante la guerra, il Solitario. Durante la Resistenza, ma soprattutto dopo, il suo ruolo fu molto rilevante nell’area reggiana ed emiliana. Il Solitario era un nome particolare, non conosco il vero motivo della scelta, pur essendone facilmente comprensibile il significato.

Il fratello di Pippo fu il primo partigiano a entrare a Reggio, da solo. Dal balcone del Comune innalzò il tricolore, sempre da solo. Iniziò poi le sue pubblicazioni (prima Il Foglio tricolore e poi La Nuova penna). Durante la Resistenza aveva fatto parte delle Fiamme verdi, dal settembre del 1944 (in un primo momento si era arruolato nei Garibaldini, da cui uscì).

Giorgio Morelli aveva cercato di opporsi al momento di grande sbandamento che ci fu dopo la Liberazione (eravamo nel «triangolo rosso»). Da un lato, fu un dramma, con tante vittime, ma fu anche il momento in cui i comunisti, in un certo senso «persero la partita». Pensiamo a Milano, ai fatti di piazzale Loreto che ci avevano fatto capire che cosa poteva esservi dietro ai comunisti (almeno a una parte di loro, dato che Togliatti in realtà era su tutta un’altra linea).

Subito dopo la guerra prevalevano alcuni personaggi, reduci della guerra di Spagna. Da noi Eros Ferrari, con cui Giorgio Morelli ebbe forti scontri, e altri tra Reggio e Parma di cui non ricordo i nomi... A Modena c’era Osvaldo «Davide» Poppi, fratello di don Poppi, originariamente fascista, poi passato al Pci clandestino. Era ufficiale della milizia a Quattro Castella, ma iscritto al Partito comunista, fu trovato dalla polizia fascista.

Fu arrestato, processato e condannato. Il fratello di Pippo Morelli riuscì a farlo fuggire di prigione. Durante la guerra era lui il commissario politico del movimento partigiano a Modena, dove c’era la Repubblica di Montefiorino.

Erano dei personaggi discutibili; un altro esempio che posso fare è legato al partigiano Pasquale Marconi che, pur sempre rimasto nelle Brigate Garibaldi, chiese la destituzione del commissario politico del parmense per alcuni delitti che erano successi.

Tutta questa situazione era chiarissima agli occhi di Giorgio Morelli, il Solitario, che, con le pubblicazioni sul suo settimanale, si mise in contrasto con i comunisti più estremisti. Ciò lo portò tragicamente alla morte.

Giorgio e Pippo: parliamo delle differenze e dei tratti comuni…

Giorgio e Pippo, al di là della forte differenza di età, erano diversi, anche se vi erano tratti comuni. Quello che ritrovavo del fratello in Pippo Morelli era la determinazione.

Entrambi quando avevano deciso una cosa la facevano. Non c’era scampo. Pippo e il Solitario su questo si equivalevano, anche se Pippo era molto più giovane.

(NOTA: Il 27 gennaio 1946 Giorgio Morelli venne ferito in un agguato ad opera di ignoti che, nottetempo, gli spararono sei colpi di pistola, mentre rientrava nella sua abitazione di Borzano (Reggio Emilia). Riuscì a scampare all’attentato, ma uno dei proiettili ferì un polmone. Come conseguenza dell’attentato Giorgio Morelli in poco tempo si ammalò di tubercolosi. Trasferito in un sanatorio di Arco (Tn), non riuscì a guarire dalla malattia e morì il 9 agosto 1947. Pur tra molte difficoltà, le indagini e il processo confermarono le responsabilità dei partigiani comunisti nell’attentato). 

C’erano delle differenze fra i due: anche per la diversa situazione vissuta, il Solitario aveva una visione molto ampia, corale, sapeva vedere davvero lontano, nella molteplicità degli aspetti. Pippo era molto dotato nell’approfondimento sui temi specifici e va ricordato che, nella sua attività di sindacalista, fu operativo sempre lontano da Reggio Emilia (Milano, Firenze, Roma).

Io sapevo delle sue attività sindacali, spesso indirettamente, anche se quando lui tornava a Reggio Emilia finivamo a cena insieme a casa sua, con la moglie Susy.

Proviamo a ricordare Pippo Morelli attraverso alcune immagini…

Ho conosciuto Pippo Morelli attraverso il movimento degli scout. Era autorevolissimo, come capo scout. Ricordo anche una sua grande forza, resistenza, fisicità, era una delle persone più forti e agili che io avessi mai incontrato. Un ricordo: eravamo andati a Ponte di Legno con la seggiovia, lui scese al ritorno lungo il canalone, seguendo la seggiovia, dentro il torrente.

Gli ultimi anni lo rendevano fisicamente irriconoscibile, tanta era la differenza. Negli ultimi anni, nella malattia, Pippo non amava farsi vedere, come può confermare la moglie. Io ho l’impressione che lui mi riconoscesse, ma non amasse farsi vedere nelle condizioni in cui la malattia lo aveva portato. Mi sentivo quasi tollerato da Pippo, e credo che il motivo fosse proprio questo.

Secondo me era consapevole dello stato in cui era e di come era prima, faticava molto a esprimersi, capivo che non gradiva. Se prima ci vedevamo spessissimo, era difficile che venisse a Reggio Emilia e non ci vedessimo, poi lo andavo a trovare, ma con discrezione. Anche con i figli lui si sentiva menomato, il rapporto era difficoltoso.

Tornando a prima dell’ictus, c’era anche un altro problema: qualcuno lo aveva accusato di aver tradito la memoria del fratello. Mentre il Solitario era stato un anticomunista deciso, lui era molto più possibilista, ed è comprensibile, i tempi erano diversi.

Forse questa accusa pesava su Pippo. Susy, la moglie, può essere più precisa, ma io ho avuto questa impressione. Lui è sempre stato molto religioso e credente, in linea con la tradizione della famiglia. Se c’è stata una certa distinzione con il fratello Giorgio è stata sull’atteggiamento politico di fondo nei riguardi del comunismo.

Secondo me in lui c’era anche un altro scrupolo: per motivi di carriera sindacale aveva «sradicato» la famiglia da Reggio Emilia (primo spostamento a Milano, poi a Roma). Pippo non era del tutto soddisfatto del rapporto con i figli e si sentiva responsabile per averli condizionati e sottoposti a questi sradicamenti.

Le idee politiche con la moglie erano un po’ diverse, ma sempre con punzecchiamenti bonari, ricordo ai tempi le battute su De Mita e l’amicizia della moglie Susy con Pierluigi Castagnetti. In questo senso Susy Morelli poteva sembrare più vicina alla linea politica un tempo tenuta dal Solitario.

Di cosa discutevate?

Discutevamo del Concilio, del suo frequentare i Cristiani per il socialismo, lui ha seguito molto i lavori conciliari, anche più di me.

Pippo era molto legato a don Lanfranco Lumetti, sacerdote di Reggio Emilia imparentato con la famiglia Ricci, che si trasferì a Roma e che aiutò Pippo e la sua famiglia, a sua volta in vista del trasferimento romano.

Ricci si staccò dalla Dc e parve avvicinarsi al Pci, mentre Morelli non entrò mai nel Pci e si avvicinò semmai alla Nuova sinistra, ma aveva un atteggiamento diverso sui comunisti rispetto al fratello, come già detto.

Pippo ebbe anche contatti con il cardinal Pignedoli, legato a Paolo VI.

Parlavamo anche della Cisl, anche se lui preferiva non entrare nei dettagli del suo lavoro. Morelli, ad esempio, non si intromise mai sulle questioni della Cisl di Reggio Emilia.

Quali erano le sue figure di riferimento?

Figure significative per Pippo furono Mario Romani, con cui fece la tesi di laurea, poi ebbe rapporti con Hélder Câmara, vescovo brasiliano.

Stando a Roma non era particolarmente soddisfatto della situazione vaticana, certamente. Pippo volava sempre alto e non era il tipo che scendesse ad apprezzamenti di corridoio, volgarucci. Aveva sempre un grande rispetto delle persone, della gente, riconosceva le ragioni delle persone e manteneva una sua certa riservatezza.

Parlai a lungo con lui della mia scelta come prete operaio (dal 1970 al 1975), una scelta che lo interessava e che sosteneva. Fu un momento anche di grande disorientamento del movimento operaio (penso agli scioperi «a singhiozzo»), le ultime grandi manifestazioni operaie furono proprio in quegli anni. Ricordo un pullman di operai al Colosseo, che scherzando lo volevano abbattere come «vecchiume». Tutto sembrava possibile.

A Milano qualcuno era perplesso che ci fossero preti nelle manifestazioni. Con lui parlavo della scelta del sacerdozio in fabbrica. A Reggio eravamo un gruppo notevole: io lavoravo in una azienda di motofalciatrici, c’era anche don Dossetti che era in un’altra azienda meccanica.

Tre parole: montagna, ecologia, malattia…

La montagna era l’hobby fondamentale di Morelli: Alpi e Appennini.

Uno degli ultimi temi da lui seguito con passione è stato quello della salvaguardia dell’ambiente, da vicepresidente del Parco del Gigante.

Mio fratello avvocato, che fu anche direttore di Confindustria, voleva realizzare in montagna una grande riserva di caccia (visto anche lo spopolamento) sul modello di alcune zone dell’allora Jugoslavia. Parlai con Pippo del progetto e lui fu decisamente contrario.

Punti di riferimenti di Pippo, come detto, furono Romani, Câmara, Pignedoli, don Lumetti.

Ricordo lo stupore di quando fu colpito dalla malattia: cercare oltremodo di stimolarlo era controproducente; preferiva stare in famiglia, non incontrare più di tanto gli «esterni». Lo ricordavo spesso nella preghiera, lo vedevo certo più spesso quando stava bene di quando stava male.

Concludiamo: possiamo ricordare vostre «letture» comuni?

Avevamo letto entrambi Umanesimo integrale di Maritain, e ne avevamo discusso.

Un testo che gli piacque molto fu l’enciclica di Paolo VI Populorum progressio.

Con Pippo parlavamo spesso di una mia «trovata»: del «Vangelo come volgarità» e di come l’universalità del Vangelo nasca con il fatto che esso si identifichi con i momenti «obbligati» della vita dell’uomo, i momenti «volgari»: fame, sete, malattia, morte, povertà, bisogno... Sì, ne avevamo discusso insieme…

Don Agostini con Francesco Lauria e Loris Cavalletti durante l'intervista svolta a Reggio Emilia il 14 luglio 2017.

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